giovedì, gennaio 8

Il luogo inatteso (3)


segue dalla (1) (2)

Non è facile riflettersi sulle proprie inquietudini, soprattutto quando sei dinanzi ad una situazione mai affrontata. Eppure non era così, già una volta mi accadde, qualcosa di simile, non una distesa di sabbia ma di mare. Un inizio d’estate, il bambino giocava nell’acqua bassa; distratto da qualcosa che si muoveva sul fondo, lasciò il delfino che leggero come l’aria, di cui era formato, si allontanò lentamente. Io che osservavo la scena comodamente sdraiato, sperai che le onde lo spingessero a riva, ma la corrente del mattino andava al largo, ed il delfino anche. Annoiato da questo fuori programma, dovetti abbandonare la placida sonnolenza, mi alzai pensando che in due bracciate l’avrei raccattato, invece… Era il primo bagno della stagione, redarguii il proprietario del mammifero di gomma che neanche mi degnò, tanto era intento a catturare granchi. Il mare era una tavola plissettata a causa della corrente marina contraria. Mi buttai a testa giù e andai di braccia, quando riemersi il delfino era quasi a portata di mano, ma nell’attimo in cui mi fermai ebbe uno scatto all’indietro e continuò la sua corsa. Continuai, alternando tra stile libero e rana, il delfino si avvicinava e si allontanava perché ero costretto a fermarmi per prender fiato, fuori allenamento; intanto la riva si faceva sempre più lontana, mentre il delfino imperterrito guadagnava decine di metri. Il colore del mare sotto di me aveva acquisito tonalità di un blu intenso, mi girai per vedere quanto mi ero allontanato. Evidentemente la corrente non aveva spinto solo il delfino… la costa era diventata una linea appena percettibile sopra l’orizzonte. Dovevo prendere una decisione, continuare sino a quando la corrente avesse concesso tregua o tornare indietro. Optai per la prima, avrei saputo dopo che la corrente marina non smette mai. Ora io stavo solo nel deserto, con davanti una sconfinata distesa di sabbia e non potevo non ricordare quell’episodio, perché era la stessa causa ad avermi spinto lì. Intorno silenzio assoluto, solo il mio respiro affannoso. Il delfino era a un centinaio di metri. Quel ricordo stava occupando i miei pensieri da ore, si era dilatato per merito di una dimensione temporale, distorta dallo spazio indefinito del deserto. Spesso ero ritornato su quell’episodio, lo avevo sempre interpretato come un desiderio di autodistruzione, era come un’ombra nelle viscere dell’ anima, fino a quel momento… Il deserto mi permetteva di concentrare la mente e mi risultò un’altra visione, un’altra spiegazione. Io non volevo accettare che la casualità del destino dettasse le regole, a costo di giocarci la vita, anche per la più insensata delle decisioni. Ecco cosa era, il mio istinto di rivolta, verso ciò che ritengo sopruso, quando decido di partire metto sul piatto tutto l’estremo che posso offrire, di cui sono capace, altrimenti preferisco il nulla. Il deserto era la mia sfida, e questa volta non il destino sferzante e ingiusto ma direttamente la fonte, l’origine, il nulla stesso. In lontananza un puntino farsi sempre più grande, un pattino, spinto da robuste braccia, scivolava silenzioso sulle acque, nella mia direzione. Mi chiesi in quali faccende fosse affaccendato, così lontano dalla riva, non mi passava per la mente che fosse lì per me. Quando fu vicino , credei utile sfruttare quella che credevo una casuale situazione, agitai il braccio, quel tizio non mi avrebbe rifiutato una mano per recuperare il delfino. Appena si accostò la prima cosa che disse fu se andava tutto bene, che domanda, perché non doveva andar bene, ero solo uno che nuotava. Io volevo semplicemente che mi aiutasse per il delfino. Era il guarda-costa dello stabilimento balneare della spiaggia vicina, ed era venuto in mio soccorso. “Ora recuperiamo anche il delfino”, anche, perché anche? Sarei stato capace di tornarmene da solo. Mi aveva tenuto d’occhio dalla riva con il binocolo, sino a quando aveva ritenuto impossibile che potessi ritornare. Lui aveva ragione, ma per un’altra causa: io non stavo tornando. Così, recuperato il delfino, mi disse che la corrente era molto forte e che non solo non lo avrei mai raggiunto, perché più leggero di me, ma probabilmente non avrei riguadagnato la costa, constatando che la grande distanza mi avrebbe obbligato a qualche sosta, tempo sufficiente per rispedirmi di nuovo al largo. E se avessi provato a tornare indietro senza riuscirci, cosa mi sarebbe accaduto, mi avrebbe colto il panico? Quindi lui era stato il mio salvatore, senza colpo ferire. Andare avanti verso l’ignoto non produce panico, perché gioca la nostra ignoranza; è il tentare di tornare indietro ed accorgersi di non riuscirci che genera stati di angoscia. Non avevo paura, lì nel deserto; eppure lo sapevo che avanti non c’era niente, ma non vedevo oltre i confini dei miei occhi, la distesa non mi terrorizzava, tanto non sarei tornato sui miei passi. Però mi voltai indietro, l’episodio del delfino mi aveva fatto riflettere. Un puntino tra le onde di sabbia farsi sempre più grande…

(continua)

1 commento:

Kaishe ha detto...

Buondì Fabio... che bello trovarti!

Spero tutto OK e che l'anno sia cominciato dimostrando una buona inclinazione.

Un abbraccio!