domenica, marzo 16

L'arpa celtica



"Il suo viso era tagliato dal vento freddo del Nord ed i capelli rossi fiammeggiavano al sole fremente del tramonto, nel mare profondo di tenebre. Eccola, Lei era la mia dea, unica signora del mio essere, unica capace di darmi la vita e la morte; il mio respiro il mio tormento il mio destino".

Io passavo con il mio destriero, per un sentiero mai perlustrato, appena accennato e molto antico. Alcuni contadini mi dissero che a tracciarlo furono i Romani 300 anni passati, quando ancora Roma era Roma, per venire a conquistare la terra dei miei avi. Ma non tornarono più, le fate li presero e loro scomparvero nel nulla. Gli indigeni mi avevano indicato il modo migliore per passare le montagne al di là del mare. Scrutavo attento i lati e oltre i rovi fitti del denso bosco. Mi rassicuravo, toccando l’impugnatura della mia spada. Mi avevano detto che il bosco era abitato da elfi e streghe però il mago porgendomi la mano sul capo mi sussurrò: “Nulla hai da temere, guerriero, la tua arma uccide il nemico non l’amico. Vai tranquillo, gli spiriti del bosco non ti toccheranno”.
Il bosco sembrava infinito e arrivò il momento di fermarmi. Il mio cavallo era tranquillo ed io anche. “Prima che cali il buio ci scegliamo il posto per riposare, che dici? Ti va bene qui?” . Il mio superbo ronzino scosse il capo, voleva dire sì. Estrassi la lunga spada e preparato il giaciglio mi appisolai tenendola ben salda vicino a me. Io non dormo, veglio, sempre così, abituato dalle mille guerre. Quella notte, non so, come se una musica dolce mi accompagnasse nel mondo dei sogni, mi addormentai perdendo il controllo del mondo, della mia vita.
E fu un’alba nuova. Mi svegliai scosso dalla mia debolezza. Un suono delicato si diffondeva tra gli alberi, ovunque e in me. Mi alzai, senza lasciare la spada. Mi avvicinai al Mai, il mio cavallo, lo avevo chiamato così perché quando ci conoscemmo non mi voleva mai obbedire, era stato un giovane testardo come me. Lo tirai con le redini e mi diressi dove credevo giungesse la fonte del suono. Arrivai ai piedi di una rupe. La musica arrivava da sopra, mi arrampicai. Quando i miei occhi emersero videro quello che avrebbe segnato la mia esistenza. Una donna seduta su una roccia , immersa in una primavera precoce, muoveva delicatamente le dita su le corde di un’arpa. Uscii lentamente, mi guardai intorno circospetto, giù il mio cavallo brucava tranquillo. Avanzai con l’arma pronta. Quando la donna mi vide si fermò. Un silenzio assoluto, anche gli uccelli zittirono, tutto sembrò essersi fermato. Io ho vissuto nella diffidenza del prossimo, senza mai pensare che io stesso, io potessi essere causa della diffidenza del prossimo. Si alzò, si incamminò verso il limite della pianura.
Il suo viso era tagliato dal vento freddo del Nord ed i capelli rossi fiammeggiavano al sole fremente del tramonto, nel mare profondo di tenebre. Eccola, capii subito che Lei era la mia meta la mia dea, unica signora del mio essere, unica capace di darmi la vita e la morte; il mio respiro il mio tormento il mio destino.
“Signora, non devi avere timore di me”.
Si girò distratta: “Cosa dici, guerriero?”
“Io… niente…”
“È il vento del mare che diffonde la musica nella foresta”.
“Capisco, svegli gli animali tutte le mattine…”
“Non solo gli animali”
“Sono cinque giorni che vago sul sentiero e non ho visto uomini”
Mi indicò la foresta con un gesto del braccio: “Cosa vedi?”
“Niente, alberi e alberi è quello che vedo”.
“Cosa vedi?”
“Alberi, vedo alberi…”
“Cosa vedi?”
“Oh,” mi venne da ridere, “io vedo… vedo… cosa vedo?!”
Dagli alberi si staccarono degli esseri e dalla terra sbucarono altre creature, erano quelli gli abitanti del bosco.
“Signora, io ho camminato nella notte e nel giorno con questi elfi intorno?”
“Certo, tu sei un ospite della nostra terra”
“Vostro? Tu chi sei? Sei forse tu una fata?”
“Uomini, date un nome a tutte le cose, anche a quelle che non conoscete”
“Sei una strega?”
“Io sono quella che sono”.
“Devo temerti?”
“Devo avere una ragione per mostrarmi irata con te?”
“O no, io sono in pace. Ho una missione”.
“Credo che la tua missione sia terminata, eccolo il mare che cercavi”
“Leggi nei pensieri?”
“Lo sai che c’è oltre il bosco? Neve, ghiaccio. Il tuo termine è qui, null’altro”.
“Sì, la mia missione finisce qui”
“Non la tua missione…”
“Cosa vuoi dire?”
“Il tuo termine è qui!”
Strinsi la spada, gli elfi mi avevano attorniato.
“Sei una strega!”
“Avevi detto di essere venuto in pace, era una bugia”.
“Donna, sei tu che minacci.”
“Perché hai cercato il mare?”
“Il mio popolo deve aprirsi una frontiera verso l’ovest , questo è il punto di attracco più vicino all’entroterra”.
“Vedi, uomo, tu non puoi, questi luoghi sono nostri e nessuno dei tuoi simili è ancora capace di viverli senza distruggerne l’equilibrio. Tu non puoi andartene più”.
“Io… cosa? Io sono un guerriero e non mi faccio facilmente sottomettere. Preferisco morire.”
“Ebbene, se è questo che vuoi… tu morrai”.
Mi si raggelò il sangue. Come poteva una donna inerme e qualche buffa creatura avere la meglio su di me? avevo affrontato avversari ben più forti e violenti.
“Credi che abbia paura? La mia lama farà scorrere fiumi di sangue prima che muoia”
“Che stupido uomo! La tua non sarà una morte fisica”.
“Io conosco solo una morte”
“Ebbene”, allargò le braccia, gli elfi si dileguarono nel bosco, “lo senti il lungo respiro del mare?”
Mi avvicinai al dirupo, le onde si infrangevano impetuose sulle irte rocce.
Guardai la signora sospettoso.

sabato, marzo 15

Premio D eci e lode


Mi è stato assegnato un premio. PAOLA mi ha spiazzato e la STEFF mi ha atterrato, poi mi ha svegliato con una affettuosa badilata ed ANGIE mi ha raccolto.
E adesso non so che dire, mi imbarazzo ai riconoscimenti. Ecco, ora mi alzo e porgo un riverito inchino.
Di balzo mi tocca ed io lo rimando a:
ASTROSIO, che nel suo blog tratta argomenti tra i più originali e mai sentiti da orecchia che dicesi umane, forse giusto gli ornitorinchi dell'Orinoco, che non esistono in Natura, ma l'ho scritto perché è assonante, quindi nessun essere dotato di vita propria, almeno sul pianeta Terra, sugli altri pianeti extrasolari non posso mettere la mano sul fuoco, al massimo un capello.
ANGIE, che nel suo blog esprime con la carica vitale che le appartiene cronache personali e pubbliche, toccando tutte le corde dei sentimenti. La vita tout court. Le invidio la facilità con la quale manda avaffa chi si merita di essere mandato a vaffa.
AIRENS, che nel suo blog viene e va ma sono un suo costante (e)lettore. Il modo di esporre, l'articolazione e la proprietà di linguaggio, la ricerca appropriata e la completezza dell'informazione fanno capire che il suo impegno è generoso anche in un piccolo spazio elettronico, segno non effimero nel mondo etereo dei bit.

E poi naturalmente tutti gli altri, ognuno con le sue caratteristiche, pregi e virtù, personalità diverse che completano il quadro di questa piccola comunità di finti blogger, 'che non sono che persone.
Per Balua e Kai un occhio lo darei, ma... forse è meglio limitarsi ad un capello, il solito, quello già bruciacchiato per Astro, e vabbe' dai me ne stacco un altro, tanto ne ho a iosa.
Anzi, se Silvio gradisce, gliene posso vendere una scorta, per quando quelli fasulli giapponesi scadranno.

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Il regolamento del Premio D eci e lode qui sotto.
Come si assegna?Chi ne ha ricevuto uno può assegnarne quanti ne vuole, ogni volta che vuole, come simbolo di stima a chiunque apprezzi in maniera particolare, con qualsiasi motivazione (è o non è abbastanza elastico e libero?!) sempre che il destinatario, colui o colei che assegna il premio o la motivazione non denotino valori negativi come l'istigazione al razzismo, alla violenza, alla pedofilia e cosacce del genere dalle quali il "Premio D eci e lode" si dissocia e con le quali non ha e non vuole mai avere niente a che fare.Le regole:- esporre il logo del "Premio D eci e lode", che è il premio stesso, con la motivazione per cui lo si è ricevuto; è un riconoscimento che indica il gradimento di una persona amica, per cui è di valore;- linkare il blog di chi ha assegnato il premio come doveroso ringraziamento;- se non si lascia il collegamento a questo post già inserito nel codice html del premio provvedere a linkare questa pagina;- inserire questo regolamento;- premiare almeno un blog aggiungendo la motivazione.Queste regole sono obbligatorie soltanto la prima volta che si riceve il premio per permettere la sua diffusione, ricevendone più di uno non è necessario ripetere le procedure ogni volta, a meno che si desideri farlo. Ci si può limitare ad accantonare i propri premi in bacheca per mostrarli e potersi vantare di quanti se ne siano conquistati. Si ricorda che chi è stato già premiato una volta può assegnare tutti i "Premio D eci e lode" che vuole e quando vuole (a parte il primo), anche a distanza di tempo, per sempre. Basterà dichiarare il blog a cui lo si vuole assegnare e la motivazione. Oltre che, naturalmente, mettere a disposizione il necessario link in caso che il destinatario non sia ancora stato premiato prima.

mercoledì, marzo 12

Censura 'legale'

Questa lettera è stata scritta da un ex collaboratore di 'Report', pubblicata sul sito Disinformazione. Chiede che sia divulgata. Fino a prova contraria leggere non è reato, a noi non ci costa niente; forse in futuro ci sarà anche il divieto di opinione o divieto di valutazione, per permettere a qualcuno di fare i fatti propri senza essere disturbato.

Censura ‘legale’
Paolo Barnard – 11 febbraio 2008

Cari amici e amiche impegnati a dare una pennellata di decenza al nostro Paese, eccovi una forma di censura nell'informazione di cui non si parla mai. E' la peggiore, poiché non proviene frontalmente dal Sistema, ma prende il giornalista alle spalle. Il risultato è che, avvolti dal silenzio e privi dell'appoggio dell'indignazione pubblica, non ci si può difendere. Questa censura sta di fatto paralizzando l'opera di denuncia dei misfatti sia italiani che internazionali da parte di tanti giornalisti 'fuori dal coro'.
Si tratta, in sintesi, dell'abbandono in cui i nostri editori spesso ci gettano al primo insorgere di contenziosi legali derivanti delle nostre inchieste 'scomode'. Come funziona e quanto sia pericoloso questo fenomeno per la libertà d'informazione ve lo illustro citando il mio caso.
Si tratta di un fenomeno dalle ampie e gravissime implicazioni per la società civile italiana, per cui vi prego di leggere fino in fondo il breve racconto.

Per la trasmissione Report di Milena Gabanelli, cui ho lavorato dando tutto me stesso fin dal primo minuto della sua messa in onda nel 1994, feci fra le altre un'inchiesta contro la criminosa pratica del comparaggio farmaceutico, trasmessa l'11/10/2001 ("Little Pharma & Big Pharma"). Col comparaggio (reato da art.170 leggi pubblica sicurezza) alcune case farmaceutiche tentano di corrompere i medici con regali e congressi di lusso in posti esotici per ottenere maggiori prescrizioni dei loro farmaci, e questo avviene ovviamente con gravissime ripercussioni sulla comunità (il prof. Silvio Garattini ha dichiarato: "Dal 30 al 50% di medicine prescritte non necessarie") e spesso anche sulla nostra salute (uno dei tanti esempi è il farmaco Vioxx, prescritto a man bassa e a cui sono stati attribuiti da 35 a 55.000 morti nei soli USA).

L'inchiesta fu giudicata talmente essenziale per il pubblico interesse che la RAI la replicò il 15/2/2003.
Per quella inchiesta io, la RAI e Milena Gabanelli fummo citati in giudizio il 16/11/2004(1) da un informatore farmaceutico che si ritenne danneggiato dalle rivelazioni da noi fatte.
Il lavoro era stato accuratamente visionato da uno dei più alti avvocati della RAI prima della messa in onda, il quale aveva dato il suo pieno benestare.
Ok, siamo nei guai e trascinati in tribunale. Per 10 anni Milena Gabanelli mi aveva assicurato che in questi casi io (come gli altri redattori) sarei stato difeso dalla RAI, e dunque di non preoccuparmi(2). La natura dirompente delle nostre inchieste giustificava la mia preoccupazione. Mi fidai, e per anni non mi risparmiai nei rischi.

All'atto di citazione in giudizio, la RAI e Milena Gabanelli mi abbandonano al mio destino. Non sarò affatto difeso, mi dovrò arrangiare. La Gabanelli sarà invece ampiamente difesa da uno degli studi legali più prestigiosi di Roma, lo stesso che difende la RAI in questa controversia legale.(3) Ma non solo.
La linea difensiva dell'azienda di viale Mazzini e di Milena Gabanelli sarà di chiedere ai giudici di imputare a me, e solo a me (sic), ogni eventuale misfatto, e perciò ogni eventuale risarcimento in caso di sentenza avversa.(4)
E questo per un'inchiesta di pubblico interesse da loro (RAI-Gabanelli) voluta, approvata, trasmessa e replicata.*

*( la RAI può tecnicamente fare questo in virtù di una clausola contenuta nei contratti che noi collaboratori siamo costretti a firmare per poter lavorare, la clausola cosiddetta di manleva(5), dove è sancita la sollevazione dell'editore da qualsiasi responsabilità legale che gli possa venir contestata a causa di un nostro lavoro. Noi giornalisti non abbiamo scelta, dobbiamo firmarla pena la perdita del lavoro commissionatoci, ma come ho già detto l'accordo con Milena Gabanelli era moralmente ben altro, né è moralmente giustificabile l'operato della RAI in questi casi).

Sono sconcertato. Ma come? Lavoro per RAI e Report per 10 anni, sono anima e corpo con l'impresa della Gabanelli, faccio in questo caso un'inchiesta che la RAI stessa esibisce come esemplare, e ora nel momento del bisogno mi voltano le spalle con assoluta indifferenza. E non solo: lavorano compatti contro di me.
La prospettiva di dover sostenere spese legali per anni, e se condannato di dover pagare cifre a quattro o cinque zeri in risarcimenti, mi è angosciante, poiché non sono facoltoso e rischio perdite che non mi posso permettere.

Ma al peggio non c'è limite. Il 18 ottobre 2005 ricevo una raccomandata. La apro. E' un atto di costituzione in mora della RAI contro di me. Significa che la RAI si rifarà su di me nel caso perdessimo la causa. Recita il testo: "La presente pertanto vale come formale costituzione in mora del dott. Paolo Barnard per tutto quanto la RAI s.p.a. dovesse pagare in conseguenza dell'eventuale accoglimento della domanda posta dal dott. Xxxx (colui che ci citò in giudizio, nda) nei confronti della RAI medesima".(6)
Nel leggere quella raccomandata provai un dolore denso, nell'incredulità.
Interpello Milena Gabanelli, che si dichiara estranea alla cosa. La sollecito a intervenire presso la RAI , e magari anche pubblicamente, contro questa vicenda. Dopo poche settimane e messa di fronte all'evidenza, la Gabanelli tenta di rassicurarmi dicendo che "la rivalsa che ti era stata fatta (dalla RAI contro di me, nda) è stata lasciata morire in giudizio... è una lettera extragiudiziale dovuta, ma che sarà lasciata morire nel giudizio in corso... Finirà tutto in nulla."(7)

Non sarà così, e non è così oggi: giuridicamente parlando, quell'atto di costituzione in mora è ancora valido, eccome. Non solo, Milena Gabanelli non ha mai preso posizione pubblicamente contro quell'atto, né si è mai dissociata dalla linea di difesa della RAI che è interamente contro di me, come sopra descritto, e come dimostrano gli ultimi atti del processo in corso.(8)
Non mi dilungo. All'epoca di questi fatti avevo appena lasciato Report, da allora ho lasciato anche la RAI. Non ci sarà mai più un'inchiesta da me firmata sull'emittente di Stato, e non mi fido più di alcun editore. Non mi posso permette di perdere l'unica casa che posseggo o di vedere il mio incerto reddito di freelance decimato dalle spese legali, poiché abbandonato a me stesso da coloro che si fregiavano delle mie inchieste 'coraggiose'. Questa non è una mia mancanza di coraggio, è realismo e senso di responsabilità nei confronti soprattutto dei miei cari.

Così la mia voce d'inchiesta è stata messa a tacere. E qui vengo al punto cruciale: siamo già in tanti colleghi abbandonati e zittiti in questo modo.
Ecco come funziona la vera "scomparsa dei fatti", quella che voi non conoscete, oggi diffusissima, quella dove per mettere a tacere si usano, invece degli 'editti bulgari', i tribunali in una collusione di fatto con i comportamenti di coloro di cui ti fidavi; comportamenti tecnicamente ineccepibili, ma moralmente assai meno.

Questa è censura contro la tenacia e il coraggio dei pochi giornalisti ancora disposti a dire il vero, operata da parte di chiunque venga colto nel malaffare, attuata da costoro per mezzo delle minacce legali e di fatto permessa dal comportamento degli editori.
Gli editori devono difendere i loro giornalisti che rischiano per il pubblico interesse, e devono impegnarsi a togliere le clausole di manleva dai contratti che, lo ribadisco, siamo obbligati a firmare per poter lavorare.

Infatti oggi in Italia sono gli avvocati dei gaglioffi, e gli uffici affari legali dei media, che di fatto decidono quello che voi verrete a sapere, giocando sulla giusta paura di tanti giornalisti che rischiano di rovinare le proprie famiglie se raccontano la verità.
Questo bavaglio ha e avrà sempre più un potere paralizzante sulla denuncia dei misfatti italiani a mezzo stampa o tv, di molto superiore a quello di qualsiasi politico o servo del Sistema.

Posso solo chiedervi di diffondere con tutta l'energia possibile questa realtà, via mailing lists, siti, blogs, parlandone. Ma ancor più accorato è il mio appello affinché voi non la sottovalutiate.
In ultimo. E' assai probabile che verrò querelato dalla RAI e dalla signora Gabanelli per questo mio grido d'allarme, e ciò non sarà piacevole per me.
Hanno imbavagliato la mia libertà professionale, ma non imbavaglieranno mai la mia coscienza, perché quello che sto facendo in queste righe è dire la verità per il bene di tutti. Spero solo che serva.

Grazie di avermi letto.
Paolo Barnard
dpbarnard@libero.it

Note:
1) Tribunale civile di Roma, Atto di citazione, 31095, Roma 10/11/2004.
2) Fatto su cui ho più di un testimone pronto a confermarlo.
3) Nel volume "Le inchieste di Report" (Rizzoli BUR, 2006) Milena Gabanelli eroicamente afferma: "...alle nostre spalle non c'è un'azienda che ci tuteli dalle cause civili". Prendo atto che il prestigioso studio legale del Prof. Avv. Andrea Di Porto, Ordinario nell'Università di Roma La Sapienza , difende in questo dibattimento sia la RAI che Milena Gabanelli. Ma non me.
4) Tribunale Ordinario di Roma, Sezione I Civile-G.U. dott. Rizzo- R.G.N. 83757/2004, Roma 30/6/2005: "Per tutto quanto argomentato la RAi-Radiotelevisione Italiana S.p.a. e la dott.ssa Milena Gabanelli chiedono che l'Illustrissimo Tribunale adìto voglia:...porre a carico del dott. Paolo Barnard ogni conseguenza risarcitoria...".
5) Un esempio di questa clausola tratto da un mio contratto con la RAI : "Lei in qualità di avente diritto... esonera la RAI da ogni responsabilità al riguardo obbligandosi altresì a tenerci indenni da tutti gli oneri di qualsivoglia natura a noi eventualmente derivanti in ragione del presente accordo, con particolare riferimento a quelli di natura legale o giudiziaria".
6) Raccomandata AR n. 12737143222-9, atto di costituzione in mora dallo Studio Legale Di Porto per conto della RAI contro Paolo Barnard, Roma, 3/10/2005.
7) Email da Milena Gabanelli a Paolo Barnard, 15/11/2005, 09:39:18
8) Tribunale Civile di Roma, Sezione Prima, Sentenza 10784 n. 5876 Cronologico, 18/5/2007: "la parte convenuta RAI-Gabanelli insisteva anche nelle richieste di cui alle note del 30/6/2005...". (si veda nota 4)

Questa è l'intervista video su Arcoiris.tv. Quasi un'ora in cui Barnard non solo chiarisce i punti della sua denuncia ma parla del grave malessere dell'informazione, che di fatto in Italia non esiste.

martedì, marzo 11

Miriam



A causa del freddo Miriam si muoveva a scatti avvolgendosi su se stessa. Quando vide la pozza fumante della sorgente termale non diede al pensiero più tempo di quanto diede all’azione di sfilarsi il giaccone. Poteva soffrire anche alcuni secondi nuda sotto la neve se il premio era un’immersione in quelle acque tiepide. Gettò le vesti su una roccia e si calò trepidante, quasi scossa da fremiti d’orgasmo. I pori si dilatarono come fiori a primavera, dopo pochi movimenti Miriam riuscì a trovare la posizione, distesa, col capo adagiato su un ciglio di morbida terra nera e l’acqua a lambirle il labbro superiore. E non si accontentava, viziosa, in barba al gelo si immergeva tutta restando in apnea per lunghi secondi. In quella condizione le sembrava non esistere l’inverno e il ghiaccio intorno, era assalita da un senso di onnipotenza, si sentiva immune, invulnerabile.
Poi si addormentò. Sognò di trovarsi a casa sotto le coperte mentre fuori impazzava la bufera. Passò più di un’ora quando riaprì gli occhi. Il vento si era alzato e muoveva la neve con turbini violenti, i suoi vestiti ne erano ricoperti. Questo era un problema, uscire bagnata, raggelare all’istante e per giunta mettersi indumenti umidi. Ancora un’altra ora passò nel tentativo di trovare una soluzione; ovviamente, pensò lei, la natura si era presa una rivincita, la punizione per averla raggirata. Ormai i vestiti si erano incartapecoriti e l’idea di uscire dall’acqua la rabbrividiva. Ma non poteva rimanere oltre, presto sarebbe calato il buio e con esso la possibilità di seguire il sentiero. Doveva prendere una decisione drastica e coraggiosa. Si alzò, non sentì freddo, il corpo aveva accumulato una gran quantità di calore ed ora lo restituiva all’esterno sotto forma di vapore. Fumava come un incensoio. Prese i vestiti e rapidamente si gettò con essi in acqua. Aveva pensato che bagnati per bagnati, meglio caldi che freddi. Non c’era alcun vantaggio sostanziale, però non aveva possibilità. Dopo una ventina di minuti uscì. In breve tutta la superficie degli indumenti si ricoprì di una sottile pellicola di ghiaccio, non pensò a toglierselo perché tanto si sarebbe riformato. In quelle condizioni percorse qualche chilometro, poi il freddo la attanagliò. Le gambe si irrigidirono ed il volto si imbiancò di brina. Si pentì di essersi concessa il piacere lussurioso della pozza termale. L’inferno di ghiaccio era la giusta legge del contrappasso. Miriam si accasciò sotto un albero, un bel punto per morire. Non sentiva i piedi e le mani erano rigide come inutili appendici. “Non ti addormentare!”, ripeteva dentro di sé. Ma le palpebre erano pesanti e arrendersi era meno stancante che combattere. Stava sopraggiungendo la stessa scelta di abbandono che le aveva propinato il bagno infausto. Però quella resa era la fine di tutto. A questo Miriam pensò quando, prossima a perdere conoscenza ebbe un moto di rabbia. Un urlo lancinante echeggiò per i monti, scosse i rami tremuli carichi di neve. “Ho la forza per resistere!”, gridò alzandosi miracolosamente: “Voglio vivere!”. Perse l’equilibrio ma non si scoraggiò, doveva far ricircolare il sangue. L’urlo di resistenza l’aveva caricata. Affondò sulla coltre nevosa sino alle ginocchia: “devo, devo, devo…”, la voce e il pensiero si univano , le gambe incominciavano a rispondere. La forza della volontà pompava quelle misere energie, raschiava il fondo della vita. Voleva utilizzare fino all’ultima goccia di energia, tutto il possibile per non lasciare.

foto tratta da: http://www.concorsofotografico.vallebrembana.org/foto/foto3.html

lunedì, marzo 3

"L'immondizia vi sommergerà"

...parola di capo indiano.




Sarebbe stato facile riproporre l’ennesima immagine della munnezza napoletana.
Invece anche un piccolo atollo paradisiaco nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico come le isole Marshall, non è immune dal garbage.
La popolazione mondiale aumenta e con essa la produzione di immondizia. La filosofia capitalistica che domina ormai in tutto il mondo pretende che per far crescere il profitto bisogna produrre e consumare; il prodotto deve avere una durata limitata in modo che il consumatore acquisti un nuovo prodotto e faccia girare il mercato; il risultato è la deiezione delle città. Bastasse il riciclo saremmo a posto, ma non basta. Deve cambiare questa filosofia, deve cambiare l’approccio dell’industria e del mondo imprenditoriale mondiale. Questo cambiamento non è difficile, è semplicemente impossibile.

Rileggiamo le parole di un capo indiano pronunciate più di un secolo fa e pubblicate per la prima volta nel 1885 (Oregon historical review, Portland 1885, XXII, pagg. 1033-1035).

Capo Sealth dei Seattle, (Riportato in “Urbanistica informazioni”, n. 87 1986- La città produttrice di rifiuti, Edoardo Salzano, traduz. Domenico Buffarini)

Quando ci avete incontrato la prima volta ci avete detto che dovevamo pregare il vostro Dio. Noi non riuscivamo a comprendere la vostra richiesta. Il vostro Dio non potrà mai essere il nostro. Vi è troppa differenza tra noi. Noi uccidiamo gli animali che ci servono e li mangiamo tutti. Voi uccidete senza motivo e abbandonate i corpi degli animali che avete abbattuto. Voi tagliate intere foreste e noi usiamo solo i rami caduti e gli alberi morti e abbiamo rispetto per ogni ago di pino. Voi spaccate le pietre, forate le montagne e non riuscite ad ascoltare lo spirito della terra che vi dice: “non fatelo. Non fatemi male” . Noi sentiamo lo spirito e il mistero della vita anche nelle ali delle libellule.
Voi siete ciechi e sordi di fronte alle cose che esistono e quando vi rivolgete a Dio, chiedete ricchezza, denaro e potere. Noi chiediamo al Grande Spirito di mostrarci la bellezza, la stranezza e la bontà della terra verdeggiante, l'unica Madre, e di svelarci le cose nella loro essenza e perfezione, così come solo in un unico Essere, che resta Uno anche se è Molti. Voi dimenticate i vostri morti, li seppellite e non vi curate di conservare le loro tombe e non vi sentite legati alla terra che custodisce le ossa dei vostri padri. Per noi un uomo che dimentica queste cose è peggio di una belva inferocita.
Per tutto questo voi riuscite a vendere la terra: mentre per noi la terra è come 1' aria che si respira, è il corpo di nostra madre e non possiamo neppure concepire che essa possa essere venduta, divisa e recintata.
Ora la mia gente è poca: noi sembriamo le foglie rimaste su un albero scosso dai venti invernali e non possiamo più difenderci. Ora voi ci assegnate una riserva in cui dobbiamo ritirarci. So bene che questa soluzione ci è imposta da una forza ineluttabile. Abbiamo cercato di sfuggirvi come la nebbia mattutina fugge ,avanti alla luce del sole nascente... Ora siamo pochi e non ci importa di sapere dove trascorreremo il resto dei nostri giorni. Il nostro popolo era un tempo forte e potente e ora poco a poco muore. Le nostre notti si fanno sempre più lunghe, buie e solitarie. Ovunque tentiamo di rifugiarci siamo inseguiti dal vostro passo sterminatore e non ci resta che sopportare il destino come un animale ferito e braccato dal cacciatore che vuole finirlo.
E tuttavia non mi lamento. Abbiamo per tanto tempo trascorso un'esistenza felice della quale siamo stati consapevoli e dalla quale abbiamo tratto gioia e ricchezza dell'animo. Ad una tribù segue un'altra e le nazioni seguono alle nazioni come una generazione succede ad un'altra. E un continuo nascere e morire e lamentarsi non serve a nulla. Forse anche il giorno del vostro tramonto non è lontano, ma e comunque certo che verrà. Allora, forse, potremo anche essere fratelli.
Ora è la vostra stagione tuttavia, e poiché ciò appare evidente, tagliate gli alberi, uccidete gli animali, domate i cavalli selvaggi, sterminate gli indiani. Io vedo bene, dai vostri occhi e dai vostri comportamenti, che la vostra città produce immondizie ed esse, un giorno, vi annegheranno.
Ma intanto consentitemi di ribadire che la terra che ci ordinate di abbandonare è sacra alla mia gente. Ogni collina, monte, bosco, lago, fiume o valle o pianura sono pieni di eventi tristi e lieti e di ricordi. I fili d'erba, i piccoli gigli lungo i fiumi d'argento, le fragole che crescono ai margini dei prati coperti di rugiada, persino le pietre che giacciono sorde e immobili nella quiete fresca della notte e nel calore diurno, hanno bevuto la vita del mio popolo e gliela hanno restituita. Anche la polvere è legata alle orme della nostra gente e i nostri piedi trovano in essa una familiarità che i vostri piedi non proveranno mai. Essa ha bevuto il sangue dei nostri padri, custodisce il sale delle loro lacrime, il grasso e la cenere dei fuochi da campo, il sudore del piacere e della paura. I nostri guerrieri scomparsi, le ragazze dal cuore gentile e dalle amabili forme, i bimbi che qui vissero e trovarono nutrimento, le nostre madri affettuose sono parte viva di questi luoghi ancora solitari che placano il cuore.
Ed essi ritornano sempre come marce dello spirito quando la Luna Nuova, piccola canoa d'argento, naviga fra le stelle circondata da una nebbia di volpi argentate. Essi continuano la vita senza il peso del corpo perché gli impulsi di un popolo seguitano ad esistere anche dopo la morte dei singoli e si concentrano sulla sua terra e la colmano di vita umana. E cosi, anche quando l'ultimo indiano sarà morto e il ricordo della mia gente sarà diventato per i bianchi una leggenda, questa terra ospiterà ancora le forme invisibili dei nostri morti. I figli dei vostri figli si crederanno soli nei campi, nelle case, sulle vie delle vostre città o nel silenzio dei boschi senza sentieri. Ma anche quando, di notte, le strade e le piazze saranno silenziose e deserte, ovunque si aggireranno gli spiriti di coloro che un tempo popolarono ed amarono questo meraviglioso paese. (...)
Voi non vi accorgete di tutto questo. Ma un giorno il nostro spirito riempirà di sé i vostri discendenti. Un giorno, ho detto , perché. vai ora apparite incapaci di un sentimento che non sia l'odio: Iodio e la paura, che vi spingono ad azioni che non hanno per fine solo la distruzione degli altri, ma anche la vostra. L'odio e la paura, che vi impediscono di capire che la stirpe umana è come il sole e che i popoli ne sono i raggi e che quando un popolo muore il sole comincia a morire e la terra diventa più fredda. L'odio e la paura che non vi danno coscienza del fatto che le specie animali sono le radici che uniscono il cielo alla terra e che l’uomo non può recidere se non vuole morire.
Noi speriamo che nel futuro lo spirito dell'uomo rosso, che con amore e venerazione rispetta tutto ciò che vive, si impossessi lentamente dei vostri figli e penetri lentamente in coloro che nulla sanno di lui. Cercate perciò di guardare alla nostra fine con rispetto e tolleranza. I nostri padri, noi stessi staremo sempre intorno a voi e attenderemo con pazienza fino a che non riusciamo a piantare nella vostra indole distruttiva un seme di amore per la vita. Se ciò accadrà. il vostro mondo sparirà e il nostro tornerà a vivere.
Ma forse non riusciremo a far ciò. E allora, quando una ragnatela di fili che sussurrano avrà circondato l'azzurro del cielo, quando il rondone sarà scomparso e la vita sarà diventata sopravvivenza, quando i fiumi saranno morti con i laghi e le montagne, quando il vostro folle modo di vivere avrà sommerso la terra, un grande fuoco simile ad un sole, che voi stessi avrete costruito nella vostra ansia di distruzione e di dominio, cadrà dal cielo e distruggerà ogni cosa. e la terra e gli uomini saranno pietra per sempre.


Per completezza c’è da aggiungere che molti hanno messo in dubbio la autenticità di alcuni passaggi. Per chi volesse approfondire, qui c’è tutta la vicenda del discorso (o lettera) del capo indiano e le sue versioni. Però ciò non toglie nulla alla veridicità dei fatti.

Siamo comunque destinati ad essere sommersi dai nostri stessi rifiuti.